giovedì 5 novembre 2009

Parigi, Place des Vosges

Quasi in diretta. Rue Saint-Antoine e Rue de Birague appaiono svuotate, inanimate; i passi provocano deboli percussioni sul selciato. Place des Vosges è appena dopo uno scorcio arcuato di palazzo in pietra bianca e mattoni rossi, che ne preannuncia l'architettura. Percorro lentamente i portici dalle basse arcate, per un momento mescolato a gente in abito da sera che abbandona un'esposizione di pittura moderna: profumi, fragranze, essenza di fiori, qualche sciarpa, una ragazza e un ragazzo in grigio avvinghiati contro il muro, al riparo dalle luci aranciate. La pianta quadrata della piazza dà luogo a un percorso confuso e ripetitivo, nell'aria fredda foriera di pioggia.
Mi siedo al tavolino di una brasserie. Ordino da bere.
L'insieme è perfetto: la luce gialla delle lampade attraversa il liquido ambrato, la schiuma rilascia uno sfrigolio sommesso e decrescente, la mia mano traccia linee grossolane su di un pezzo di carta contro il piano di legno inciso e ammaccato. Un suono lontano di flauto, molto lontano, alternato a un abbaiare soffocato. La mente è libera, sostenuta da sensazioni leggere e dalla distensione di ogni fibra muscolare. Non irrigidimenti mentali né contratture fisiche.
Un giovane barbuto ed emaciato, due tavoli più a destra, tracanna un grosso boccale di vino bianco; l'amica gli struscia una coscia contro il fianco, deglutendo l'ultimo boccone di una tartina al prosciutto ed emettendo un gemito debolissimo.
È molto tardi.