domenica 12 dicembre 2010
Serata svizzera
L’aria di Interlaken è secca e fredda, una vera benedizione per le nostre menti esterrefatte e vuote: vetrine incantate, brulicanti di personaggi scolpiti abilmente nel legno e rivestiti di panni variopinti, irradianti poesia e meraviglia dalla loro fissità irrevocabile, coltelli e coltellini a serramanico, scintillanti, in varietà infinita ed estenuanti combinazioni, carrillon a struttura sofisticata, con intarsi nitidi come le note che racchiudono, orologi di preziosa, ostentata e definitiva bellezza, cucù grezzi in asincrona composizione, dolci al cioccolato sorretti da barre bianco crema, nocciola, marrone scuro.
mercoledì 10 novembre 2010
Frittelle e gesso
Sotto casa, grande giardino senza segreti, nebbia quasi scomparsa. Avverto luce e odori della cena, sono libero: conclusi studio, ripetizione, lista della nonna, lista della mamma; il cancello sprangato. Un po' di freddo alla zona scoperta delle gambe, sotto lo spesso cappotto. Amichevole suono di ghiaia gelata. Sono in casa. Di nuovo bambino. La terrina con l'impasto che aspetta di essere mescolato, a lungo. Anche questa volta il nonno mi concede il privilegio. E' tardi, mi sento stanco. Ma è uno dei miei incarichi preferiti. Dopo cena... frittelle con le mele. Profumo, tepore, piacere. Sonno pesante.
La colazione di fretta. La lunga strada con la cartella di cuoio stracolma. Neve ammucchiata. Aula stipata di banchi. Odore d'inchiostro e di gesso.
La colazione di fretta. La lunga strada con la cartella di cuoio stracolma. Neve ammucchiata. Aula stipata di banchi. Odore d'inchiostro e di gesso.
giovedì 28 ottobre 2010
Emozioni paragonabili
l motivo è sempre lo stesso: come si leggono [o scrivono] libri per partecipare alla vita e all'esperienza degli altri (ognuno di noi ne ha disposizione una sola, salvo sorprese), per lo stesso motivo si legge lo schermo [o lo si stampa, o lo si pastrugna]. Gli autori commerciali sono spesso inaccessibili o non disponibili (o morti), gli autori dei liberi pixel attivati sono quasi sempre disturbabili o coinvolti (e vivi). Gli uni hanno spesso di mira il guadagno [e smettono di lasciare tracce, se non ricercati], gli altri quasi mai [e lasciano piccoli segnali comunque]. Non è tutto, certo. Niente e nessuno è tutto: aggiungiamo quanto si vede, si tocca, si gusta, si annusa, si ode, si respira, si conosce, si crea, si distrugge, d'accordo, ma lettura e scrittura sono lettura e scrittura. L'intreccio di vite non è mai abbastanza.
venerdì 15 ottobre 2010
Vacanze
Mio padre, ultimo a smettere di lavorare, per principio, ci raggiungeva in vacanza allo stremo delle risorse fisiche e mentali. Era pallido, con la camicia bianca, sperso e, così mi pareva, a disagio tra le magliette colorate e le carnagioni ambrate di chi lo aspettava. Piano piano rifioriva, come per incanto: giorno dopo giorno diveniva più giovane, allegro, abbronzato, figura carismatica dell'albergo, della spiaggia, delle serate e del lungomare. Ogni anno avrei voluto che tutto rimanesse così per sempre: al culmine. Ma ogni anno, implacabili, le vacanze finivano.
Vacanze
Mio padre, ultimo a smettere di lavorare, per principio, ci raggiungeva in vacanza allo stremo delle risorse fisiche e mentali. Era pallido, con la camicia bianca, sperso e, così mi pareva, a disagio tra le magliette colorate e le carnagioni ambrate di chi lo aspettava. Piano piano rifioriva, come per incanto: giorno dopo giorno diveniva più giovane, allegro, abbronzato, figura carismatica dell'albergo, della spiaggia, delle serate e del lungomare. Ogni anno avrei voluto che tutto rimanesse così per sempre: al culmine. Ma ogni anno, implacabili, le vacanze finivano.
sabato 9 ottobre 2010
Venezia, Accademia
Mi mostra uno scorcio di mondo da mozzare il fiato, intenta a scrutare nei miei occhi ciò che lei già conosce, scisso nel maggior numero di elementi possibili, tramite il maggior numero di sotterfugi ricreabili, con attenzione. Estrema sfumatura del tramonto, lento moto incantevole di acque e ali di gabbiano, profilo complesso di città che galleggia senza materia, vittima d'incantesimi che la sostengono sull'orlo della disgregazione, rassicurante e aleatoria, potente e fragile come petalo di cristallo sottile, in bilico su soffi divini, contro tinte sfumate di un cielo che incombe e ridimensiona. Osservo, mi lascio assorbire, mi estranio, sprofondo nei suoi occhi, che non ho mai cercato, timoroso, e districo riflessi, aure, emanazioni cromatiche, lavorii della mente, cercando spiegazioni nell'atteggiamento delle labbra, nella tensione delle ali del naso, nella postura delle mani. Per istanti. Mi spinge appena, come preoccupata, con leggero rimorso, intimorita. Sono lontano, mi lascio condurre via, senza resistere; occhi che percorrono muri grigi e piatte lastre di pietra, e oggetti di metallo incastrati in quelle pietre, e un piccolo ponte in legno, riscosso appena dal vento, d'infilata, sopra un rio. Si ritrova sola, senza verifica, a riordinare idee, inconsapevole, indifferente; ferma, in ascolto. Volge lo sguardo, è confusa, non riconosce scorci, le pare d'essere altrove. Non c'è profumo. L'odore è salmastro, i suoni estranei. Un equivoco, un inganno della mente. Nell'acqua scorre una gondola, si accendono luci artificiali.
martedì 5 ottobre 2010
Cancellare una stanza
C'è troppo disordine, esagerato e senza tempo. Sarebbe bello poter fare come a scuola, quando la lavagna era troppo usata. Il gesso strideva su sottile poltiglia bianca vanificando la creazione di contrasti visivi o schemi di vita: il maestro mi indicava, ero il più alto e ci arrivavo bene, mi invitava a uscire, un panno umido, un paio di passaggi. Lasciare asciugare. Ricominciare senza ostacoli. Ma cancellare una stanza d'appartamento non è altrettanto facile.
giovedì 23 settembre 2010
Università, sogni e studio
Luce giallastra di lampada da tavolo sfiora pagine sottolineate di libri di Istologia, portaceneri ingombri di pezzi di carta e trucioli di lapis. James Watson e Francis Crick. Volto contrastato e morto di Jimmy Hendrix, morbide sfumature di naso, bocca e occhi di Julie Christie. Piccoli e grandi ritagli di Julie. Dei suoi capelli, dei suoi occhi. Abiti colorati; mani. Bianchi paesaggi russi. Il ritratto a matita. Aria fredda, profumata d'acqua caduta [quanti anni fa? mille? avrà trovato Julie, l'amico infatuato?].
lunedì 20 settembre 2010
Quasi
Quanta gente, che confusione, che vento! Vien voglia di attraversare strade e vicoli senza guardare. Non si fa così. Davanti a Notre-Dame mi placo; è quasi buio. Mi siedo di fronte alla facciata oscura della cattedrale, ascoltando accordi di chitarra e il rumore di un battello che si allontana.
La mente si libera, viene catturata da quello spazio, dai suoni, e portata lontano, a ritroso nel tempo, mentre lo sguardo si appiglia ai rosoni, agli intarsi, alle nervature, al portale, alle vetrate, nel tentativo inconsapevole di dissipare il mistero di quell'architettura contro la quale sembrano proiettarsi baluginanti immagini mobili e tenui ricordi inconsapevoli degli amici di un tempo: uno legge le bizzarre poesie di Ezra Pound, una sfoglia vecchie riviste illustrate, non sue; uno, disteso sul proprio letto addossato al muro con i manifesti bianco e nero, suona la chitarra come fosse una campana, a corde libere, con il braccio sporto in fuori, stancamente. Eseguo un arpeggio semplice e lento, nell'aria, un po' disarmonico, ripetitivo, che si mescola alle note anonime della piazza nel cuore di Parigi, venticinque anni e novecento chilometri da quei ricordi. Quasi contento.
La mente si libera, viene catturata da quello spazio, dai suoni, e portata lontano, a ritroso nel tempo, mentre lo sguardo si appiglia ai rosoni, agli intarsi, alle nervature, al portale, alle vetrate, nel tentativo inconsapevole di dissipare il mistero di quell'architettura contro la quale sembrano proiettarsi baluginanti immagini mobili e tenui ricordi inconsapevoli degli amici di un tempo: uno legge le bizzarre poesie di Ezra Pound, una sfoglia vecchie riviste illustrate, non sue; uno, disteso sul proprio letto addossato al muro con i manifesti bianco e nero, suona la chitarra come fosse una campana, a corde libere, con il braccio sporto in fuori, stancamente. Eseguo un arpeggio semplice e lento, nell'aria, un po' disarmonico, ripetitivo, che si mescola alle note anonime della piazza nel cuore di Parigi, venticinque anni e novecento chilometri da quei ricordi. Quasi contento.
sabato 11 settembre 2010
Carte 11/9
L'ultima partita ha avuto inizio nove anni fa, oggi. A NY. Dopo di allora sono state necessarie carte nuove di zecca; un mazzo in trasparente involucro sterile, incontaminato, senza impronte. Lancette (nove anni fa, oggi) con ore diverse, sfasate. Congegni del mondo con rumori secchi, addosso, vicinissimi, sopra, oppure lontani, risuonanti, sovrapposti, concatenati, rinforzati, modificati. Milioni di dolori, delusioni, passioni, tormenti, gioie, spasimi, mischiati alle carte, alle loro infinite combinazioni, tra orrori, profumi, crolli, brezze, intorpidimenti e poco azzurro.
martedì 7 settembre 2010
Portobello Road, London
Un liberatorio saccheggio a Portobello Road, lo sguardo svincolato dalle basse costruzioni e dalla conseguente ampiezza dell'angolo visuale, in una gimcana disordinata per negozi e bancarelle, mettendo a soqquadro oggetti e presagi, rappresentazioni e ingranaggi, meccanismi e colori, tra strumenti musicali, medaglie, trottole, salvagenti spagnoli, coccarde, decorazioni, specchi, souvenir italiani, stampe, giocattoli di latta, carillon, vasi, pipe, libri, bandiere, orologi, ninnoli, cianfrusaglie, fondi di soffitta, stramberie nobilitate dalla patina del tempo, bronzetti, croste, dischi, megafoni, soprammobili, menù, bracciali e tutto quanto lo scandire lento e continuo dei secondi permette di inquadrare e soppesare, fino a che le esistenze mie e dei miei amici si intricano, sotto il fardello di zaini stipati, nella fatica, nelle membra intorpidite, protette dal severo abitacolo di un taxi (forzato a ripetere il percorso, a rimandare l'arrivo, ad allungare a dismisura la prestazione, come estremo e inconscio antidoto alla temuta possibile rottura di un incanto, di un conforto totale), mentre il cielo oscura e incupisce il rientro in albergo.
sabato 21 agosto 2010
Sad Eyed Lady of The Lowland - Bob Dylan (con traduzione)
Qui la musica
# With your mercury mouth in the missionary times
# With your mercury mouth in the missionary times
and your eyes like smoke and your prayers like rhymes
and your silver cross and your voice like chimes
oh who do they think could bear you.
With your pockets well protected al last
and you street car visions which you place on the grass
anf your flesh like silk and your face like glass
who could they get to carry you.
(refrain) sad eyed lady of the lowlands
where the sad eyed prophets say that no man comes
my warehouse eyes my arabian drums
should I put them by your gate
or sad eyed lady should I wait.
# With your sheets like metal and your belt like lace
and your deck of cards missing the jack and the ace
and your basement clothes and your hollow face
who among them to think he could outguess you.
With your silhouette when the sunlight dims
into your eyes where the moonlight swims
amd your matchbook songs and your gipsy hymns
who among them would try to impress you. (refrain)
# The kings of Tyrus with their convict list
are waiting in line for their geranium kiss
and you wouldn't know it would happen like this
but who among them really wants just to kiss you
With your childhood flames on your midnight rug
and your spanish manners and your mother's drugs
and your cowboy mouth and your curfew plugs
who among them do you think could resist you. (refrain)
# Oh the farmers and the businessman they all did decide
to show you where the dead angels are that they used to hide
but why did they pick you to simpatize with their side
how could they ever mistake you.
They wished you'd accepted the blame for the farm
but with the sea at your feet and the phony false alarm
and with the child of a hoodlum wrapped up in your arms
how could they ever have persuaded you. (refrain)
# With your sheets metal memory of cannery row
and your magazine husband who one day just had to go
and your gentleness now which you just can't help
but show oh who among them do you think would employ you.
Now you stand with your thief you're on his parole
with your holy medallion that your fingertips now did fold
and your saint like face and your ghost like soul
who among them could ever think he could destroy you. (refrain)
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Traduzione:
Signora delle vallate dagli occhi tristi
Con la tua bocca di mercurio nei tempi missionari
e i tuoi occhi come fumo e le tue preghiere come rime
e la tua croce d'argento e la tua voce come campane
chi, pensano gli altri, potrebbe sopportarti
con le tue tasche finalmente ben protette
e le tue visioni di autobus che corrono sui prati
e la tua carnagione come seta e il tuo volto come vetro
chi mai convincerebbero a portarti.
Ritornello:
signora delle vallate dagli occhi tristi
dove i tristi profeti narrano nessun uomo possa giungere
i miei occhi senza confini i miei tamburi arabi
li deporrò signora al tuo cancello
oppure dovrò ancora aspettare.
Con le tue lenzuola di metallo e la tua cintura di merletto
e il tuo mazzo di carte senza il fante e l'asso
e i tuoi vestiti dimessi e il tuo volto scavato
chi di loro mai penserebbe di ingannarti
con la tua silhouette quando la luce del sole si abbassa
nei tuoi occhi dove nuota la luna
e le tue canzoni su bustine di fiammiferi e i tuoi inni gitani
chi di loro mai cercherebbe di impressionarti. (Ritornello)
I re di Tiro con le loro liste di prigionieri
stanno aspettando per il loro bacio di geranio
e tu non potevi sapere che sarebbe accaduto così
ma chi di loro veramente vuole solo baciarti
con le tue fiamme di infanzia e la tua coperta di mezzanotte
con le tue maniere spagnole e le medicine di tua madre
con a tua bocca di cowboy e le tue note da coprifuoco
chi di loro potrebbe mai resisterti. (Ritornello)
Oh i fattori e gli uomini di affari decisero
di mostrarti dove abitano gli angeli morti
che loro un tempo nascondevano
ma perché hanno scelto te per stare dalla loro parte
come hanno potuto confonderti con un'altra
volevano che tu accettassi la responsabilità della fattoria
ma con il mare ai tuoi piedi e il finto falso allarme
e con il figlio di un teppista stretto fra le tue braccia
come avrebbero mai potuto persuaderti. (Ritornello)
Con la tua memoria di fogli di metallo del vicolo Cannery
e quel tuo marito da giornaletto che prima o poi doveva andare
e la tua gentilezza che adesso non può aiutarti
ma che mostri, oh chi di loro mai pensi ti impiegherebbe
ora tu sei con il tuo ladro sei sulla sua parola
con il tuo sacro medaglione che adesso avvolgi con le dita
e il tuo viso di santa e la tua anima simile a uno spettro
chi di loro ha mai creduto di poterti distruggere. (Ritornello)
venerdì 20 agosto 2010
CD a 33 giri
Gli è di fronte, alta e sfrontata, invaghita e indecisa, sicura e senza appigli, coinvolta e sospettosa: il ritmo rallentato e reiterativo del piccolo disco argenteo rotante, sfiorato appena da luce minuscola, sospinge la mente in nebulosa memoria di lumi a soffitto emananti bagliori di paglia, sughero e dischi oscuri, anch'essi rotanti, scalfiti da punte acuminate e graffiati dall'urto degli invitati. Feste senza fine.
domenica 15 agosto 2010
Pioggia che accoglie
Mi allontano dal centro dalla città: la pioggia ha intrappolato le persone, rinchiudendole in auto, case, uffici, negozi, bar, ovunque ci sia riparo e calore. Cammino deciso, aspetto il momento adatto per un’accelerazione: muscoli, tendini e articolazioni rispondono in modo adeguato. Niente fatica, niente sensazioni spiacevoli, niente indolenzimenti. Attraverso le strade con un tale convincimento e una tale decisione che le auto non accennano nemmeno a proteste o lampeggiamenti: si arrestano al mio passaggio, incuriosite dall’evidenza di una meta importante e misteriosa. Il piacere di passare per pozzanghere e rigagnoli, senza timori, fino al fruscio costante e accordato del parco, ai rintocchi ovattati della pioggia sulla superficie del laghetto, al battito del cuore, al soffio leggero del respiro, al brusio della mente, al ronzio dei piccoli animali nascosti. Un buon parco, ben tenuto, con recinti al posto giusto e sentieri ben disegnati. Il castello. Non grande come Central Park, certamente, non tanto grande. Grande abbastanza, comunque, con numerose varianti, ponticelli, giochi d’acqua, pesci, papere e quant’altro. E molta, molta pioggia. Acqua ovunque. Mi chiedo quando una tale inarrestabile camminata potrebbe avere fine. Ci sono altre ore per decidere. La sera è lontana. Devo solo aprire la mente, guardare lontano e camminare.
sabato 7 agosto 2010
Portobello Road, London
Un liberatorio saccheggio a Portobello Road, lo sguardo svincolato dalle basse costruzioni e dalla conseguente ampiezza dell'angolo visuale, in una gimcana disordinata per negozi e bancarelle, mettendo a soqquadro oggetti e presagi, rappresentazioni e ingranaggi, meccanismi e colori, tra strumenti musicali, medaglie, trottole, salvagenti spagnoli, coccarde, decorazioni, specchi, souvenir italiani, stampe, giocattoli di latta, carillon, vasi, pipe, libri, bandiere, orologi, ninnoli, cianfrusaglie, fondi di soffitta, stramberie nobilitate dalla patina del tempo, bronzetti, croste, dischi, megafoni, soprammobili, menù, bracciali e tutto quanto lo scandire lento e continuo dei secondi permette di inquadrare e soppesare, fino a che le esistenze mie e dei miei amici si intricano, sotto il fardello di zaini stipati, nella fatica, nelle membra intorpidite, protette dal severo abitacolo di un taxi (forzato a ripetere il percorso, a rimandare l'arrivo, ad allungare a dismisura la prestazione, come estremo e inconscio antidoto alla temuta possibile rottura di un incanto, di un conforto totale), mentre il cielo oscura e incupisce il rientro in albergo.
venerdì 30 luglio 2010
Scambi temporali
Lei ha portato con sé sua figlia, alla festa, trentenne, e la musica è stata in grado di far vorticare all'indietro le lancette dell'orologio, in modo tale da confondere e farmi ritrovare al cospetto di sua madre prima di esserlo divenuta, tanto le somiglia, simulando una storia senza fine apparente [contro le strambe idee del Cappellaio Matto].
venerdì 23 luglio 2010
Dubbi... infiniti
Un buon giro in libreria, senza impegni. Chiedo Infinite Jest di David Foster Wallace (attratto dalla mole del volume e da alcuni commenti su Internet). Lo tengo in mano (1.400 pagine), lo sfoglio, mi siedo, leggo le prime pagine, quindi una parte a caso, alcune note (delle cento pagine di note). Lo chiudo. Lo tengo per un quarto d'ora sotto braccio, senza tentennamenti. Scelgo un corso fotografico del National Geographic (a scatola chiusa, con il cellophane). A due metri dalla cassa mi fermo. Torno indietro. Ringrazio. Ripongo Infinte Jest sullo scaffale, con affetto. Pago perplesso il manuale. Mentre salgo le scale mi volgo indietro: una storia intensa, durata pochissimo.
mercoledì 21 luglio 2010
Colazione
Le immagini dei ricordi si riproducono al confine dell'orizzonte. Indefinite. Indefinito. Sfumature azzurre, celesti, grigie, bianche e trasparenti allontanano la stanchezza. Brezza leggera, quasi fredda. Profumo di fiori bianchi. Un cucchiaino di marmellata materializza il presente. E il profumo del caffelatte. E il rumore del pane tostato. Si ricomincia.
mercoledì 14 luglio 2010
Spiaggia
La giornata è stata molto calda. Da qualche minuto bandiere e bandierine sventolano frusciando, mosse da una brezza fresca e continua che proviene dal mare. Due donne sono sprofondate nelle sedie a sdraio, abbandonate con pigra soddisfazione contro morbido tessuto spugnoso azzurro e bianco che ricopre ruvidi teli a conca colorati, rivolte verso il sole, che le possiede da sopra il molo, confuso nei riflessi accecanti di miriadi di piccole onde che sfumano e smaterializzano i pilastri e i lampioni. Guardandole distrattamente, dall'ombra dove mi sono riparato, comprendo che si tratta di autentico piacere fisico, evocato dalla doratura uniforme, carezzevole e decisa delle epidermidi lisce, dai movimenti leggeri dei capelli contro la fronte e le guance e dal fuggevole contatto dei piedi dentro la sabbia fine e calda.
venerdì 9 luglio 2010
Non così difficile
Basta confusione, basta accalorarsi! È l'ora della passeggiata, e allora? Si potrà trasformare una passeggiata in un tuffo, o no? È sufficiente ignorare le formalità, non chiedersi se maglietta, scarpe e pantaloni reggeranno alla salsedine, percorrere con determinazione la silenziosa striscia grigia e granulosa tra le balaustre scrostate del molo, avventarsi senza alcun rallentamento nella simulazione d'abisso che si spalanca davanti, magari gridando qualcosa, le mani giunte a fendere l'etere, in un plastico tuffo che penetra come freccia l'infinita massa d'acqua salata, tra grosse bolle d'aria, intrappolate in mezzo ai flutti provocati, e mulinelli fluidi a varia potenza, gradazione, inclinazione e conicità. Non così difficile, dopo tutto. E riemergerne con vestiti bagnati. Impaccio, certo, ma mente riazzerata.
lunedì 5 luglio 2010
La giusta tensione
Ogni faccenda importante richiede una tensione speciale, inesplicabile e non provocabile ad arte così, commesso l'errore di allentarla, le poesie tornano parole oscure dipinte su candore di fogli, le canzoni di Dylan risuonano noiose, i cieli perdono le nubi e gli arpeggi sulla chitarra danno dolore e fastidio.
sabato 3 luglio 2010
Stesso albergo
Una sera mi accorgo che il suo sguardo è rivolto verso di me. Ci siamo incrociati nello stesso momento. Le accenno un sorriso. Mi ignora. Gli occhi sono dritti nei miei ma stanno vedendo cose lontane, o non stanno vedendo affatto. È una sensazione non spiacevole. Inclino il capo, cerco di attirarne l'attenzione senza eseguire movimenti sbagliati. Riemerge da una specie di intontimento attivo, si accorge di me, sembra, accenna un sorriso, si mette la mano davanti alla bocca, quasi scusandosi, mi sorride di nuovo, sembra, fa una smorfia ed emette un grazioso soffio. Il suo sguardo è divertito.
lunedì 21 giugno 2010
Scrivere dipingendo
Scrivere post usando colori, pennelli e tela; pur non sapendo disegnare o dipingere. Guardarlo da lontano, come un pezzetto di sé che se ne è andato, senza dare eccessivo peso ai concetti, non avendone timore, non considerandolo un pensiero fondamentale, mescolando parole come pigmenti e rifinendone l'amalgama con la minuscola spatola della punteggiatura. Ogni tanto mescolare, cancellare e rimaneggiare. Il colpo d'occhio complessivo come finalità. Senza cornice. Senza pensieri negativi. Senza acquirente. Senza stracciare. Con affetto, se possibile.
mercoledì 16 giugno 2010
Pioggia che mi aspetta
Le scarpe di Alberto sono note in tutto il mondo: le ho osservate nelle vetrine di New York, Parigi, Roma, Madrid, Londra, Milano, insomma, ovunque esistano buoni negozi. È un grande amico, ricordo a me stesso con soddisfazione. Belle scarpe, un po’ costose, negli ultimi anni anche tecnologiche, con materiali innovativi, per soddisfare il mercato degli orientali e degli americani. Non ho mai creduto che si potesse essere felici e motivati costruendo e progettando scarpe. Alberto è sempre stato motivato. Concentrato, nonostante mille impegni. Inarrestabile. Forse felice.
Un paio di scarpe di nuova concezione, in regalo (così fanno gli amici) per la pioggia: assolutamente impermeabili, comode ma eleganti. Molto eleganti. Alberto è senz'altro uno dei miei migliori amici, ed è stato felice di usarmi come cavia. Lo considero un privilegio e ne sono orgoglioso. Ad ogni modo le avevo riposte in fondo all’armadietto, molto scettico; per mesi. Il momento è arrivato: diluvia, voglio attraversare la città scrutando negozi come fosse l’ultima volta, e allontanarmi successivamente il più possibile, camminando e camminando, senza meta. Non potrei uscire con scarpe da pioggia normali: si imbarcherebbero in poco tempo, in una tale quantità d’acqua; d’altra parte non posso certo passare per il centro con degli stivali da pesca. In fondo ho un’immagine da difendere. In fondo.
Tocca al prototipo. Insieme all’impermeabile, al bavero alzato e ben chiuso, al cappello spiovente.
Un paio di scarpe di nuova concezione, in regalo (così fanno gli amici) per la pioggia: assolutamente impermeabili, comode ma eleganti. Molto eleganti. Alberto è senz'altro uno dei miei migliori amici, ed è stato felice di usarmi come cavia. Lo considero un privilegio e ne sono orgoglioso. Ad ogni modo le avevo riposte in fondo all’armadietto, molto scettico; per mesi. Il momento è arrivato: diluvia, voglio attraversare la città scrutando negozi come fosse l’ultima volta, e allontanarmi successivamente il più possibile, camminando e camminando, senza meta. Non potrei uscire con scarpe da pioggia normali: si imbarcherebbero in poco tempo, in una tale quantità d’acqua; d’altra parte non posso certo passare per il centro con degli stivali da pesca. In fondo ho un’immagine da difendere. In fondo.
Tocca al prototipo. Insieme all’impermeabile, al bavero alzato e ben chiuso, al cappello spiovente.
lunedì 7 giugno 2010
Ricascato nel ricordo
Una sorta di attrazione mi indirizza verso uno dei cortili dell'Università, il più grande, quello dell'attesa dell'esame di laurea: secoli prima, una vita prima, migliaia di sensazioni e di emozioni orsono. Dal tetto sopra la colonna che mi sostiene il dorso, vicino alla statua del Morgagni, cadono giù gocce pesantissime. Tra i ciottoli su cui poggio, allagati, come scogli in un mare agitato dalle gocce già cadute, pesanti, discontinue: spruzzi alti dieci metri. Fino al bavero dell'impermeabile, al naso, alle lenti degli occhiali. Uno spruzzo da un metro e novanta. Spruzzi alti come grattacieli. Flutti un po' assordanti. Che rimbombano. Lo sguardo al tetto, alla grondaia che rilascia quelle gocce così pesanti, così plastiche e mutevoli nel loro volo perpendicolare. Sulla mano tesa in avanti; da lavarla tutta. Grosse gocce d'acqua piovuta. Fa freddo ovunque.
venerdì 4 giugno 2010
Confusione
Possiamo ritrovare ogni cosa in un'immagine, in un profumo, in un suono, in un sapore, in un riscontro tattile; o al contrario ricercare vanamente per migliaia di accadimenti infime tracce d'esistenza dell'insuperabile congegno. Possiamo anche non accorgerci della complicazione in cui siamo coinvolti e ritenere senza valore la vita di minuti, o giorni, o anni, fieri solo del loro svelarsi in rintocchi di campane, regolari ed implacabili.
domenica 23 maggio 2010
Emozioni paragonabili
Il motivo è sempre lo stesso: come si leggono [o scrivono] libri per partecipare alla vita e all'esperienza degli altri (ognuno di noi ne ha disposizione una sola, salvo sorprese), per lo stesso motivo si legge lo schermo [o lo si stampa, o lo si pastrugna]. Gli autori commerciali sono spesso inaccessibili o non disponibili (o morti), gli autori dei liberi pixel attivati sono quasi sempre disturbabili o coinvolti (e vivi). Gli uni hanno spesso di mira il guadagno [e smettono di lasciare tracce, se non ricercati], gli altri quasi mai [e lasciano piccoli segnali comunque]. Non è tutto, certo. Niente e nessuno è tutto: aggiungiamo quanto si vede, si tocca, si gusta, si annusa, si ode, si respira, si conosce, si crea, si distrugge, d'accordo, ma lettura e scrittura sono lettura e scrittura. L'intreccio di vite non è mai abbastanza.
giovedì 13 maggio 2010
Antipasto
Il cameriere attende l'ordinazione qualche istante, quindi suggerisce: “Posso consigliare?” subito dopo elencando e spiegando una decina di piatti.
Lei lo ascolta ma non mostra di apprezzare. Alla fine chiede: “Niente di più forte?”
“Mi scusi, in che senso più forte?” chiede il cameriere molto incuriosito.
“Sardine, acciughe, sarde, qualcosa del genere”.
La guardo divertito, poi fisso il cameriere per un istante e dico, piano: “Quel genere di cose, ha capito?”
“Certo, certo, abbiamo questo genere di cose, abbiamo tutto. Non è nel menù ma non è un problema. Un attimo, prego” e si allontana rapido.
“Lo hai messo in imbarazzo” le dico sorridendo.
“Non volevo".
Lei lo ascolta ma non mostra di apprezzare. Alla fine chiede: “Niente di più forte?”
“Mi scusi, in che senso più forte?” chiede il cameriere molto incuriosito.
“Sardine, acciughe, sarde, qualcosa del genere”.
La guardo divertito, poi fisso il cameriere per un istante e dico, piano: “Quel genere di cose, ha capito?”
“Certo, certo, abbiamo questo genere di cose, abbiamo tutto. Non è nel menù ma non è un problema. Un attimo, prego” e si allontana rapido.
“Lo hai messo in imbarazzo” le dico sorridendo.
“Non volevo".
mercoledì 5 maggio 2010
Fine gara
Attorno all'ultima buca qualche applauso, sorrisi, cenni di assenso. Mentre la pallina ci muore, in quell'ultima buca, la storia ha il suo epilogo, si spegne, si disperde. Nelle strette di mano si materializza la fatica di sopravvivere, la durezza degli affetti, la leggerezza di un ticchettio inavvertibile e inesorabile, il freddo del sole allo stremo. Ogni cosa è conclusa, vacua, insostenibile. Servono getti caldi, schizzi gelati, serve inalare aria satura di vapore, respirare profondamente, ossigenare la mente, impadronirsi dell'auto, sfrecciare per le vie di campagna, fuggire.
martedì 27 aprile 2010
Troppo
Quando mi siedo nella poltrona dentro l’aereo sono esausto. Mi lascio stordire dal tepore e da un bicchiere di vino (strana offerta), mi abbandono contro lo schienale, circondato da rumori sordi di passeggeri che scorrono verso la coda, dal brusio di richieste e richiami sommessi.
"Salve" sento, insieme a un profumo leggero e piacevole.
"Oh, salve" rispondo alla figura che mi fruscia accanto, all'ovale confuso del suo volto, l'unica parte di lei che si affaccia da una specie di ampio mantello.
La poltrona è comoda, posso rimanere nel torpore, esentato da gesti coinvolgenti, non ho contatti con quell'estranea. Mentre sistema il bagaglio a mano, distrattamente intravedo un corpo slanciato e di nuovo avverto un leggero profumo. Ho bisogno di un respiro profondo, ho freddo ai polpacci e al collo, non sono uscito dal disagio. Mi servono almeno quattro ore di sonno.
"Salve" sento, insieme a un profumo leggero e piacevole.
"Oh, salve" rispondo alla figura che mi fruscia accanto, all'ovale confuso del suo volto, l'unica parte di lei che si affaccia da una specie di ampio mantello.
La poltrona è comoda, posso rimanere nel torpore, esentato da gesti coinvolgenti, non ho contatti con quell'estranea. Mentre sistema il bagaglio a mano, distrattamente intravedo un corpo slanciato e di nuovo avverto un leggero profumo. Ho bisogno di un respiro profondo, ho freddo ai polpacci e al collo, non sono uscito dal disagio. Mi servono almeno quattro ore di sonno.
domenica 25 aprile 2010
I fumi di Gino Strada
Mi fa tenerezza, quando si allontana da Emergency ed entra in un ruolo non suo: aspetto gucciniano, mente rimasta incastrata nel '68, sottile coda di paglia che prende corpo quando non si trova, peraltro coraggiosamente, lo ammetto, tra dune e monti ostili; rovinato, tra le altre cose, dalla stizza contro gli americani e, in generale, contro quelli che non la pensano come lui o fanno cose, magari positive, senza il suo imprimatur (operazioni di ostaggi liberati comprese); raramente sereno e mai obiettivo. Incazzoso e coraggioso, molto coraggioso, lo ripeto, ma debolissimo, per così dire. Strumentalizzabile e strumentalizzato. Un abbraccio e un saluto in ogni caso, Gino, in ricordo di turni in pronto soccorso, dubbi, contrasti e discussioni tra volute di un fumo non ben definibile che diffondevi nella stanza, stordendomi passivamente, mentre esponevi il tuo sogno.
martedì 20 aprile 2010
Una traduzione personale
Oltre l'orizzonte del luogo in cui abbiamo vissuto da giovani, in un mondo di magneti e di miracoli dove i nostri pensieri si smarriscono continuamente e senza confini, i rintocchi della campana della Divisione hanno avuto inizio... guardando oltre alle rovine fumanti dei ponti arsi dietro di noi, dopo un rapido sguardo a quanto fosse verde dall'altra parte... ostacolati sempre dai desideri e dall'ambizione, c'è ancora un appetito non soddisfatto, i nostri occhi stanchi ancora si smarriscono verso l'orizzonte sebbene noi siamo stati spesso per questa strada... l'erba era più verde, la luce era più luminosa, il sapore era più dolce, le notti della meraviglia, circondati da amici, la foschia dell'alba si accendeva, l'acqua sgorgava, il fiume era senza fine. Per sempre [il tasto repeat ha una funzione precisa].
from High Hopes - Pink Floyd
giovedì 8 aprile 2010
Cena o non cena
È buio, bisogna rientrare, magari mangiare qualcosa. Percorro Rue Saint-Louis-en-l'Ile, sorpreso dalla sequenza di piccoli negozi e ristoranti a luci basse dai nomi suggestivi; fiori, dolci, vecchi libri, profumi, spezie. Un posto da rivedere. Ho fame, ma non devo mangiare adesso, devo aspettare, sfruttare l'entusiasmo. Il ritorno all'albergo è affrettato. Varcata la soglia la stanchezza ha il sopravvento, il calore della stanza intontisce. Blandisce. Breve sonno affollato da sogni inafferrabili. Ho fame.
martedì 30 marzo 2010
A proposito di Portofino e nuvole
Ci sono andato in bicicletta (solo sei chilometri dal punto di partenza) e sono salito a piedi al faro. La bici l'ho nascosta in un cespuglio vicino al monastero. Lassù, sulla punta, sporto dal muretto protettivo, con il mare a mia disposizione, mi è stato possibile guardare nella giusta direzione e far capire alle nuvole, ben disegnate e sufficientemente grandi (che provavo comunque continuamente a modellare con grande sforzo della mente) quanto la vita terrena dovrebbe essere più simile a ciò che stavo vedendo, piuttosto che a una stanza chiusa, ad articoli senz'anima, a gente sofferente, a tensioni e costrizioni.
giovedì 18 marzo 2010
Nessun ostacolo?
Niente mi può impedire di scrivere l'articolo; testo corretto, dati documentati, tabelle a posto, foto digitali perfette in ogni particolare. Oddio, non è proprio il tipo di articolo che passerà alla storia, roba scientifica, roba per entusiasti, tutto è pronto ma... perché sembra mancare l'aria? e tutta questa diavolo di roba sparsa sul tavolo? e la tastiera del computer dove è finita? E questo caldo. Niente deve interrompere il flusso della mente.
Basterebbe il trillo del telefono o qualche suono estraneo. O che andasse via la luce, o che stasera non ci fosse l'acqua calda.
Il telefono suona, implacabile. In una situazione così ci vorrebbe coraggio. Non ce l'ho. Rispondo.
Basterebbe il trillo del telefono o qualche suono estraneo. O che andasse via la luce, o che stasera non ci fosse l'acqua calda.
Il telefono suona, implacabile. In una situazione così ci vorrebbe coraggio. Non ce l'ho. Rispondo.
giovedì 4 marzo 2010
È chiaro
A lungo ho creduto alla storia che, quando si è bambini, le giornate non finiscono mai mentre, col passare degli anni, volano via. A un'analisi superficiale questo apparentemente inevitabile esaurimento naturale delle emozioni, delle sensazioni e delle percezioni viene valutato come comune e reale. Se si fa attenzione, tuttavia, il fenomeno si dimostra non legato all'età. Un equivoco. Per le vacanze è così, per i viaggi è così, per un nuovo lavoro è così, per nuove emozioni è così, per qualunque avventura non ancora vissuta è così: i primi due o tre giorni sono senza tempo, gli altri svaniscono rapidamente. Intraprendere qualcosa di nuovo ogni settimana, ecco la semplice soluzione. Il risultato è una sequenza di giorni interminabili, lunga quanto la vita intera.
martedì 2 marzo 2010
Neve a New York
Guardo la cima della Trump Tower, mi lascio incantare dalle mille luci dei suoi alberi, respiro più volte profondamente, sento la testa leggera. Il rumore attorno riprende, quasi un frastuono. Vapori densi si aggirano tra le persone. Sto di nuovo avvertendo la terra e attraversando l'aria. Inquadro espressioni, sento richiami, ho il dubbio che un fiocco di neve si sia posato sul mio naso. Volgo lo sguardo verso il cielo, scuro, grigio, metto a fuoco, e il contrasto conferma candidi cristalli galleggianti a mezz'aria, una massa impalpabile ferma a pochi metri dal terreno, come in attesa, da cui sfuggono immateriali frammenti in avanscoperta, incerti e fragili.
lunedì 1 marzo 2010
Note ripetute
Ciò che non hanno potuto la musica del passato, l'alternarsi estenuante dei classici, i crescendi, i pianissimo, le fughe e gli adagi, la fusione perfetta dei suoni e delle voci, i versi e i cori, il fragore dei timpani e dei tamburi, il vigore di braccia esperte, gli attrezzi complessi e appropriati, le immagini, i filmati, la valanga di parole e di sovrastimolazioni, l'isolamento, la solitudine, l'odore di disinfettante e degli unguenti, il consolidamento dei tessuti, le sinfonie e i concerti, la fede, ciò che non ha potuto tutto questo, inaspettatamente, lo ha ottenuto un guazzabuglio di note ripetute fino allo sfinimento, ai limiti della saturazione, cicliche, randomizzate, scomposte, ascoltate con una smorfia contro le avversità, reiterate su distese di asfodeli gialli percorse da farfalle multicolorigrandi come aquile, alla ricerca del ruolo principale, di un provvedimento eclatante, eccessivo, fino alla fine del tempo, asso tra le scartine, in attesa vigile, ricominciando un nuovo conteggio alla rovescia a ogni termine del precedente, senza più paura né affanno, anzi con curiosità, con foga, con bramosìa, in attesa della gratificazione e di un compenso più vistoso del pattuito, di altri mesi e anni, di un nuovo destino.
martedì 23 febbraio 2010
Gassosa gelata d'estate
Il fondo della bottiglia gelata viene ficcato e ruotato nella sabbia, all'ombra: l'aroma della combinazione gassosa-cannuccia-di-paglia-sabbia produce un effetto quasi magico, un incanto, sprigionando il medesimo, piacevole, affascinante, protettivo piacere riposto nella memoria del tempo migliore e altrimenti insondabile se non per un'imprevedibile reazione a catena, esplosiva e quieta, infantile e prepotente, incontrastabile. La magia avviene e si compie, per la durata dell'aspirazione ritmica, celere, completa del liquido dolce e frizzante nella gola arsa e vorace, con rumorosa e impaziente deglutizione. Il corpo reagisce con una sudorazione gradevole e visibile, soddisfacente, che leva ogni appannamento e fastidio.
martedì 9 febbraio 2010
Dopo festa
Il cortile ora è silenzioso, inanimato, le tracce delle auto degli amici scompongono in modo statico la ghiaia rastrellata nel pomeriggio, la pioggia è cessata, c'è un buon odore nell'aria e volontà di inspirare a fondo, fino al capogiro. Lampi, tuoni che si allontanano, vento che piega con dolcezza gli alti pini e i fili d'erba. Bagliori quasi senza rumore, le sagome dei monti, sensazione di appagamento inquieto, piacevole e intenso, percezione chiara del trascorrere cadenzato del tempo, mentre la sagoma del padre che non esiste più, da dietro la finestra, appare sovrapponibile agli invisibili persistenti contorni del precedente custode, del sorvegliante di molte feste orsono, del nonno che pareva tanto vecchio e insopportabile.
lunedì 8 febbraio 2010
Di nuovo
Ora di colazione, molto tardi: prosciutto e uova, succo d'arancio. Oggi così! Qualche piegamento, qualche allungamento muscolare, un video registrato dell'ultimo Congresso osservato distrattamente nel riflesso dello specchio mentre mi rado col rasoio a mano, canticchiando Norwegian Wood. Una telefonata agli amici: "Oggi non ci sono per nessuno". La partenza della seconda giornata di gara poco dopo mezzogiorno. Deboli scampanii da una piccola cappella. Rintocchi.
mercoledì 3 febbraio 2010
La gara
Gara importante, lunga, complessa. Condizioni climatiche avverse, caldo sproporzionato alla stagione, compagni di gara sorteggiati: ma ogni possibile miscuglio mi è indifferente. Una di quelle occasioni in cui non ci si può accontentare di piazzamenti. Fisico a posto, mente libera, un minimo di maniacale disposizione all'autolesionismo, pronto a competere contro tutti: contro la maglietta bagnata, contro sete, malanimi, materiali, contro qualsivoglia infima scappatoia alle regole, che divengono ragione di sopravvivenza, imperativi della mente. È possibile raggiungere il massimo della prestazione solo se la miscela dei componenti è ben proporzionata, l'amalgama ben dosata, credibile, impreziosita dall'invenzione, simile alla compiutezza della vita, dell'esistenza, dell'evoluzione.
martedì 2 febbraio 2010
Gli altri, in certi momenti
In certi momenti mi sembra che il mondo circostante non sia diventato altro che uno sfondo e le persone una specie di brusìo poco decodificabile. Allora metto in opera selezioni molto rigide. Del mondo mi servono solo colori e suoni gradevoli; delle altre persone, il silenzio. Non è l'espressione massima della comunicazione, lo ammetto, e riconosco che non può essere che uno stato provvisorio. Ma è così che succede.
lunedì 25 gennaio 2010
Fine del temporale
In un grande miscuglio d'animi e pensieri, si confonde nel luccichìo dell'asfalto bagnato la base stessa dell'esistenza, nei suoi infiniti strati e nelle innumerabili variazioni, semplicemente e automaticamente, rendendo ogni atteggiamento, ogni parola e ogni parvenza di pensiero niente più che uno di quei fugaci e bellissimi luccichii.
mercoledì 20 gennaio 2010
Città in giorno feriale.
Concluso l'impegno universitario ho deciso di dedicare mezz'ora a una camminata in Centro, Duomo compreso, Galleria compresa, libreria compresa, turisti compresi e vento compreso. È stupefacente constatare il numero incredibile di persone che si aggira nelle grandi città con l'aria di non avere niente da fare, felici e distese, capaci di stare a rimirare guglie, finestroni, vetrine, gradinate, volte e comignoli come fosse l'evento più importante della giornata. Per loro lo è. Li ho invidiati perché avevo un intervallo dal lavoro che mi consentiva sì di osservare ogni cosa, di vedere visi e figure, di apprezzare bei volti ed espressioni incantevoli, di sentire profumi, a volte irresistibili, tuttavia a passo di carica, al limite tra una camminata velocissima e un corsa al rallentatore.
venerdì 15 gennaio 2010
Dall'Empire State Building, quindici anni fa
Ho potuto vedere la Quinta strada d'infilata e le Torri Gemelle lontane, da cui ero disceso nella mattinata, stagliate contro la superficie scintillante dell'Hudson e della baia, e la sorprendente ombra del grattacielo dove mi trovavo, contenente l'ombra minuscola del mio corpo spersa in qualche atomo di quell'oscurità madre che si stampava sulle costruzioni sottostanti e sui grattacieli meno spettacolari. Perché questo ricordo a un anno dalla mia ultima New York, priva delle torri? In entrambe le occasioni erano i primi di dicembre. Fa molto freddo e c'è nebbia, adesso; Natale è passato da quasi un mese. Cancello tutto o smetto di cercare una ragione? Dò la colpa al Larghetto di Chopin (concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in fa minore) che sta diffondendosi nella stanza? Non è così semplice. Temo.
giovedì 14 gennaio 2010
Mare d'inverno
Sono comunque riuscito ad intercettare un po' di sole, poco. Ho girato a piedi per il centro, sbirciando in ogni vetrina, ho mangiato una focaccia sottile, ho comprato dei fiori bianchi, molto profumati, e altri rosa tenue, un pacchetto di canditi speciali, li vendono sfusi, e un barattolo di vetro in cui ho sigillato un po' di nuvole e qualche riflesso; infine ho affidato i fiori al cielo e al tramonto, sorridendo, consapevole dell'assurdità dei miei gesti.
lunedì 11 gennaio 2010
Trucchi per riconoscere una scatola di autentici sigari cubani.
Un sigaro cubano fatto a mano deve riportare il marchio nero "Habanos s.a. - hecho en Cuba - totalmente a mano". Non bastano le diciture "Hecho enCuba" o "Hecho a mano". I sigari sono presentati in scatole di legno di cedro con un'etichetta di sigillo bianca e verde con la dicitura "Cuban government's warranty for cigars exported from Havana. Republica de Cuba - sello de garantia nacional de procedencia". Sono presenti i codici di fabbrica: ad esempio JM per José Marti ex Upmann, FPG per Francisco Perez German ex Partagas, BM per Briones Montoto ex Romeo y Julieta. Sul retro della scatola il logo "Habanos" e le diciture sono in bassorilievo (punzonatura a fuoco) e deve esistere il timbro con il codice della data di produzione. Due considerazioni. Prima: fumare fa male, anzi malissimo: un avana alla settimana, no. Seconda: perché un dittatore per tanti anni in un'isola tanto bella?
sabato 9 gennaio 2010
Questi appunti
Ricordo che per questi appunti, autocollegati, presi in volo sopra le cose del mondo, su quaderni a fogli staccabili, è consigliabile un raccoglitore con pochi limiti, a milioni di colori, con anelli di buon materiale, assemblato a mano su progetto autunnale o invernale, e stagionato il giusto.
mercoledì 6 gennaio 2010
Il mondo degli specchietti retrovisori
Intendo i laterali, il sinistro in particolare, e l'anteriore, visti da dietro. Preciso: gli specchietti dell'auto che ci sta davanti in una fila, quella che ci troviamo a guardare senza volerlo, una sola volta, o più volte. Dipende. Hai a disposizione pochi lineamenti, mutevoli, e qualche dettaglio: gli occhi, l'attaccatura dei capelli o gli occhiali nell'anteriore, bocca o guancia e un po' di naso nel laterale, forse espressioni. Non è spiare, credo, ma osservare in modo distaccato, tuttavia emozionante, è passare attivamente il tempo d'attesa. Ti accorgi che i due punti di vista "segmentari" sembrano appartenere a più persone e non a quel singolo irripetibile volto che, nel suo insieme, non potrai mai vedere, probabilmente. Il fatto che trasmette emozioni è questo: ogni fermata, ogni giorno, permette una conoscenza "a scorci ristretti" diversa, a volte inaspettata, evocatrice di memorie o di progetti.
Si tratta di scorci molto più stimolanti del mondo a rovescio osservabile dietro di noi. Quello sì spiato, e troppo simile alla realtà senza segreti.
Si tratta di scorci molto più stimolanti del mondo a rovescio osservabile dietro di noi. Quello sì spiato, e troppo simile alla realtà senza segreti.
lunedì 4 gennaio 2010
Pennichella indesiderata
Nel mezzo di un sonno profondo sul divano (ricordarsi, nella prossima vita, di scegliere un lavoro meno faticoso) mi sveglio di soprassalto: un vuoto e un silenzio impensabili. Non posso respirare, eppure mi muovo liberamente. Il cuore non batte, almeno non pare, non sono avvertibili pulsazioni, tuttavia la mente è libera, pronta, chiara. C'e ancora un po' di sole, l'ultimo. Serve reagire, e in fretta. Serve andare al più presto all'esterno. Serve aria.
venerdì 1 gennaio 2010
Tornanti e nuvole
Provate a scendere con gli sci ai piedi un sentiero innevato e isolato di una montagna seria, alpina, magari sotto nuvoloni grigi pieni di fiocchi, ascoltando The Wall dei Pink Floyd in cuffia. Poi ditemi.
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